Un viaggio nei Balcani

di Serenella Bettin

25 ottobre 2019

Partiamo la mattina del 25 ottobre. Direzione? Zagabria. E poi dritti in Bosnia e in Serbia. In auto poche cose. Una borsa a testa. Zaino in spalla e carichiamo le auto di giocattoli, vestiti, articoli di cartoleria e tutto quello che possa servire a chi è nato dall’altra parte del mare e si trova senza roba da vestire. La prima tappa è Gračac, un comune della Croazia nella regione zaratina. Dobbiamo andare a trovare un’associazione che fa volontariato e aiuta gli anziani del paese e realizza souvenirs. Ma mentre stiamo andando, lungo l’autostrada, a pochi chilometri dalla nostra destinazione, ci accorgiamo che ci sta il memoriale dedicato allo scienziato e fisico Nikola Tesla. Uno dei più grandi talenti in Serbia, a cui il giorno dopo dobbiamo dedicare una biblioteca. Il motivo principale del nostro viaggio infatti è proprio questo. L’inaugurazione della biblioteca a Kozarska Dubica in Bosnia, in una scuola. Così dopo quasi cinque ore di auto, prendiamo, un piccolo cambio di rotta e andiamo a vedere questo luogo sacro. Il fogliame attorno a noi crea pennellate di arancione, di rame, di arancio dorato, di marrone; i colori dell’autunno di questo paesaggio incantato. Il monumento a Nikola Tesla si trova questo luogo quasi sacro, silenzioso, quieto, raccolto. La gente ci va a passeggiare, le mamme portano i bimbi a giocare, le signore anziane si ritrovano per camminare. Il villaggio si chiama Smiljan, ed è quello dove il 10 luglio 1856 nacque Nikola Tesla, questo grande inventore. Per il 150 esimo anniversario della sua nascita, con il patrocinio del Parlamento croato e del Governo della Repubblica di Croazia, è stato inaugurato questo centro commemorativo, inaugurato il 10 luglio 2006. Un ambiente autentico, la chiesetta, una mostra, il bronzo a lui dedicato, la natura incontaminata e tanta tranquillità. Ma il tempo stringe. Le donne dell’associazione ci stanno aspettando e dobbiamo correre.
Arriviamo a Gračac che il sole sta quasi calando. Sono le quattro del pomeriggio. Le donne ci aspettano dentro la sede e sorpresa vuole che ci abbiano aspettato. Ci hanno preparato da mangiare e ci hanno aspettato per il pranzo.
Dentro un odore da far venire l’acquolina. Pentole coperte di carne sfornata, scodelle di verdure crude e cotte e un purè di fagioli mai mangiato così buono.
Qui ci stanno due associazioni: la Humanitarna udruga Majka Terezija e la Prospero. Ad attenderci ci stanno Greta Drlja, la presidente della Majka Terezija e Slavica Miličić la presidente della Prospero. Insieme a loro poi ci stanno Đurđica Sedlan, Snježana Vukčević, Monika Platužić e una bambina. Che c’avrà all’incirca sette anni. Sono quasi le quattro e mezza, nessuno di loro ha mangiato e ci accomodiamo per il pranzo.
L’associazione Majka Terezija aiuta gli anizani del paese, porta loro da mangiare, li va a prendere per portarli alle visite. Donano loro anche qualcosa da vestire. Un servizio essenziale per questi anziani soli. Gli anziani che aiutano sono circa 150.
Poi c’è la Prospero che invece è un mondo da scoprire. Realizzano souvenir con le loro mani. Uno più bello dell’altro. Sono lavoretti, dipinti, pecorelle di lana, vestitini, pupazzetti di cartapesta, gesso, statuette, bicchieri, tovaglioli, zoccoli. Due laboratori interi dedicati all’arte manuale. In quell’altro fanno anche le scarpe. Ciabatte, sandali, scarpe chic con le rifilature d’argento. Ogni cosa è riposta al proprio posto e la maestria lascia incantati.
Alla fine della nostra chiacchierata, dopo la nostra visita, scarichiamo le auto. Diamo loro vestiti, creme, prodotti per l’igiene. Loro ci ringraziano. Ci guardano negli occhi e ci stringono le mani. Ma è tardi. È ora di ripartire alla volta di Zagabria.
Tira l’aria a Zagabria. Fa freddino. Arriviamo in hotel che sono quasi le nove. Poggiamo i bagagli. Una risciacquata veloce e via si va a cena. È bella Zagabria. Sembra un souvenir. Un piccolo grande villaggio. I locali si chiamano l’un con l’altro, stanno tutti in questa via principale che trabocca di boccali di birra, patatine, salsicce e cevapcici. Le insegne luminose spuntano da ogni dove. Richiamano l’attenzione. Attirano i giovani. I turisti. Una città che vive all’occidentale, le casette sembrano tanti piccoli cottage uniti l’un con l’altro. ogni locale ha la sua particolarità, la sua specialità, il suo biglietto da visita, il suo marchio. La fame si fa sentire, entriamo in uno e ci accomodiamo per la cena. Per noi carne di maiale, pollo e tante verdure. Torniamo indietro veloce. La mattina dopo ci aspetta una lunga giornata.

26 ottobre 2019

Sveglia alle 8. Partenza alle 9. Ci appropinquiamo alla sala dell’hotel per la colazione. Ci sta di tutto. Colazione internazionale, italiana, toast, strudel di mele, frittata, uova. Ma la colazione è veloce. Poi partiamo alla volta della Bosnia. Il paesaggio cambia andando in Bosnia. I palazzoni e i negozi del centro dii Zagabria lasciano il posto a una fitta vegetazione. Incolta. Tanto verde. Gli arbusti spuntano in mezzo alle strade deserte. Intorno a rendere il paesaggio ancora più spettrale ci sta pure la nebbia. Qualche villaggio sparso qua e là subito al confine ci dà la parvenza di anima viva. Le case però sono ancora diroccate, alcune ancora sventrate, senza porte né finestre.

L’inaugurazione della nuova Biblioteca a Nikola Tesla
Ci avviciniamo alla frontiera per entrare nella Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina, la Repubblica Srpska. E qui andiamo nella scuola elementare di Kozarska Dubica. Una città di oltre 23 mila abitanti. Una scuola intitolata a Vuk Stefanović Karadžić, linguista serbo con 676 bambini. Si va dal primo all’ottavo grado. Una prima, con una sola insegnante, ha 58 bambini.
Una scuola ora bella, ben addobbata, con le pareti addobbate a festa, i lavoretti fatti a mano, con le firme dei bambini, realizzati con il tatto delle insegnanti. Gelati disegnati e costruiti appesi al muro, foglie autunnali, lavoretti col legno, mulini, ricci, nuvole, alberi disegnati sulle porte, lavori fatti di carta.
Una scuola costruita negli anni 60, che durante la guerra nel 1995 è stata bombardata. L’avevano scambiata per un rifugio di soldati serbi. E via giù bombe. Una scuola che era semidistrutta. Quasi rasa al suolo. Senza porte né finestre. E che ora è stata ricostruita.
Una scuola che viene ancora riscaldata con un impianto di riscaldamento a legna, e la stufa che riscalda tutto l’edificio è pure datata e funziona male.
Solo da pochi mesi hanno messo gli infissi di vetro. Prima c’era il legno. E d’inverno non ci si scaldava. Una scuola che va avanti grazie alla luce negli occhi degli e delle insegnanti. Dei genitori. Del direttore Brane Miljatovic e della bibliotecaria Katica Smiljanic.
Una scuola che ora ha anche inaugurato la nuova biblioteca. Bella. Luccicante. Ordinata. Luminosa. I bambini appena l’hanno vista si sono messi a saltare compostamente per la gioia. Da quanto contenti erano non erano nemmeno in grado di urlare. Tanta era la contentezza. Tanta era la paura di toccare e rovinare qualcosa anche solo con il respiro. Una biblioteca che c’aveva un pavimento che Dio solo sa come era preso. Completamente sollevato. Tutto rotto. Distrutto. Ammuffito. I tavoli non erano come quelli che ci sono adesso. Le pareti erano tutte rinsecchite. E poi buchi. Avvallamenti.

Ma in due mesi insegnanti e genitori si sono messi al lavoro e sono stati in grado di restaurarla. Ad agosto l’associazione Love Onlus ha effettuato un sopralluogo e poi sono iniziati i lavori, per il valore di quattro mila euro. Tante le donazioni che sono arrivate. I bambini ci hanno accolto con una recita, le insegnanti e le collaboratrici ci hanno preparato da mangiare, da bere, tutto era studiato alla perfezione. I bambini cantavano in coro canti, del Kosovo, una generazione che “traccia nuovi sentieri, senza dimenticare quelli di ieri”. Poi alla fine ce ne siamo dovuti andare. Abbiamo fatto un sopralluogo alla palestra che andrebbe rifatta e ora sta per partire un progetto con la Regione Trentino Alto Adige per vedere se troviamo i fondi. Prima di partire un gran saluto. Tutti in riga, tre baci come da tradizione e ci mettiamo in viaggio alla volta di Belgrado.

Prima di imboccare l’autostrada però, svoltiamo. Al confine ci sta il campo di concentramento di Jasenovac. Il più grande campo di concentramento dei Balcani. Il terzo dopo Auschwitz e Buchenwald. Impossibile non fermarsi.
Siamo a un centinaio di chilometri a sud est di Zagabria, vicino al confine croato – bosniaco. Qui, in questa immenso prato verde sono morte sgozzate e torturate almeno 100 mila persone. Erano serbi. Rom. Ebrei. Un campo di concentramento attivo durante la seconda guerra mondiale, tenuto in piedi dai frati francescani. Frate Satana lo chiamavano quel religioso Miroslav Filipovic – Majstorovic che lo dirigeva. Frate Satana diceva messa. Uccideva e poi pregava. Ed è qui che avvenne la maggior parte dei massacri operata dagli Ustasha contro le etnie non croate e non cattoliche dello Stato Indipendente di Croazia. Dove ci son le montagnole c’erano le baracche. Le travi di legno invece segnavano il percorso che il treno faceva carico di deportati. Le persone che vi arrivavano venivano uccise con una brutalità inimmaginabile. Alcuni morirono di fame e di sete. Altri di stenti. Altri congelati con i liquidi in pancia. O nell’intestino. Alcuni venivano scuoiati. Altri sgozzati. Presi e cannibalizzati. Decapitati. Bruciati. Affogati. Alcuni assistevano alle esecuzioni. Lo Srbosjek, il tagliaserbo, era un coltello speciale, costantemente fisso al polso, con una lama all’ingiù che serviva a sgozzare le persone in un colpo solo. Un frate, Peta Brzica in una sola notte ne scannò 1360. C’erano settimane in cui il fiume che vi scorre accanto, il fiume Sava, era perennemente tinto di rosso. Molti bambini furono bruciati vivi nei forni di mattoni trasformati in forni crematori. Spaventoso il numero delle vittime bianche: 8 mila i bambini morti.
Dopo aver affrontato e ripercorso questo orrore, ci avviamo verso il confine. È tardi. Dobbiamo entrare in Serbia e procedere verso Belgrado.

26 ottobre – sera – Belgrado

Arriviamo a Belgrado che sono le otto di sera. La fitta vegetazione della Bosnia ha lasciato spazio al cielo grigio di Serbia. Poi a mano a mano che cala il buio e ci avviamo verso la capitale, le piante lasciano posto ai palazzi, alle luci e ai grattacieli. La Dubai dei Balcani la chiamano. La New York degli Stati Uniti. Sono le nove, appoggiamo le borse in albergo, doccia veloce e usciamo per cena. Belgrado è bella, bella davvero. La sera si riempie di canti, di balli, di donne, di uomini. Passeggiamo lungo la via principale dei locali in cerca di un posto dove mangiare, qui si concentra la movida della capitale serba. Qui musicisti con il contrabbasso in mano e la fisarmonica ti passano accanto, e allietano le serate. Tutti intorno a un tavolo, vanno avanti a suonar canzoni che parlano di morti e amori non corrisposti. Finita la cena rientriamo in albergo, la giornata è stata lunga, domani ci aspetta il viaggio di rientro.

27 ottobre 2019

La mattina Belgrado si sveglia con l’odore dei cappuccini e dei tramezzini. Accanto agli italiani che fanno colazione col caffè, ci stanno i serbi che mangiano würstel patate carne di maiale. Siamo nella piazza centrale della capitale, stiamo facendo colazione, è domenica mattina, ma sembra ora di pranzo. Poi ci avviamo alla Fortezza, andiamo a vedere Belgrado dall’alto. Un luogo la Fortezza, difensivo posto esattamente dove il fiume Sava e il Danubio si incontrano. Una fortezza che venne demolita e ricostruita per ben tre volte e che oggi è il più bello e il più esteso parco di Belgrado, Kalemegdan. Nei tempi in cui invece fungeva da base militare, serviva come luogo da cui il nemico veniva osservato e atteso per la battaglia.
Nel secondo secolo d.c infatti la fortezza – castrum romano venne usata come campo militare permanente della IV Legione di Flavio. Poi sotto l’occupazione austriaca, fra gli anni 1717 e 1739, e dopo la costruzione delle nuove e moderne fortificazioni, la Fortezza di Belgrado ha rappresentato una delle più potenti basi militari in Europa. Oggi la si può visitare e godere di un immenso spettacolo.
Scendiamo verso le vie della città e non possiamo fare a meno di ammirare questo incrocio tra il vecchio e il nuovo, tra il moderno e il contemporaneo. Belgrado è un intreccio di colori, di sapori, di foglie colorate, un via vai di scoiattoli che saltano sul prato e si arrampicano sugli alberi. Belgrado è un insieme di vecchiette che vendono lenzuola lungo le strade, un insieme di cani randagi. C’è la vecchietta che dà da mangiare ai piccioni, c’è il pianista che suona in mezzo alla gente, ci sono i ragazzi che giocano a palla e i vecchietti che si sfidano a scacchi. Poi per l’ora del pranzo andiamo in un locale molto bello, a metà tra lo stile vintage e lo stile shabby chic, uno stile di design di interni dove i mobili, gli accessori e gli arredi appaiono invecchiati e usurati. Ma prima, prima andiamo in un posto. A cui dobbiamo fare visita. Il mausoleo di Tito.

Visita al Mausoleo di Tito
Conosciuto come Kuca Cveca ci avviamo verso il monumento funebre del leader della Repubblica Jugoslava che morì il 4 maggio 1980. L’intero complesso si trova sulla collina di Dedinje. Qui ci stanno la tomba del maresciallo e il museo memoriale, che custodisce una collezione di oggetti ricevuti in dono da Tito durante il suo governo. Ma il nome Kuca Cveca, il cui significato è “Casa dei Fiori”, venne scelto per via i numerosi fiori che circondano la tomba. Qui si può anche ammirare la riproduzione in miniatura del Treno Blu, quel famoso convoglio che un tempo trasportava il presidente jugoslavo Tito e la consorte, tra le città della ormai ex Jugoslavia. Un treno che dal 1959 al 1980 ha percorso con Tito 600 mila chilometri.
Poi tappa allo shop. Usciamo. È ora di rientrare. Ci aspettano nove ore di auto verso l’Italia.

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