UNA PRECISAZIONE NECESSARIA

Da sempre, da quando ci occupiamo di solidarietà internazionale, capita ogni tanto di sentirci dire “ma perchè non lo fate in Italia?”; oppure “be’ le scuole sono messe meglio delle nostre” o ancora “tanto non serve a niente”

Tramite il nostro impegno quotidiano cerchiamo di essere utili a persone, bambini e famiglie che vivono una vita molto diversa da quella che conosciamo per noi e per il nostro noto. Tralasciando il fatto che chi “parla” è spesso colui che “non fa”, desideravamo in queste poche righe cercare di raccontare un po’ più quali sono le situazioni che incontriamo e quale la cornice generale.

Lo spunto parte proprio dall’ultima iniziativa realizzata: il laboratorio informatico “Federico Faggin“, realizzato in una scuola in Kosovo e Metochia, a poche ore di auto da casa nostra, in una natura e panorami molto simili ai nostri.

Partiamo dal villaggio: Gornji Kusac è un enclave. Vuol dire che le circa 2.000 persone che vivono in questo gruppo di case sono un isoletta circondata da un mare di persone di un etnia diversa che a questa latitudine vuole dire una religione diversa, una cultura diversa, una lingua totalmente diversa e incomprensibile e, da centinaia di anni, un rapporto conflittuale che spesso sfocia in violenze, soprusi e prevaricazioni. Le persone che vivono in questo villaggio non hanno la libertà di movimento che conosciamo: non possono andare dove vogliono per una passeggiata o a fare la spesa, devono rimanere all’interno dell’enclave e quando escono lo fanno solo se necessario e in fretta. L‘ospedale non è quello più vicino ma quello più sicuro, a Gracanica, a un’ora di strada e sovraffollato. La disoccupazione è elevatissima, l’economia si basa su piccoli scambi e un’agricoltura di sussistenza dato che anche culture più grandi non avrebbero sbocco nel mercato per ragioni etniche: non possono vendere i prodotti all’esterno dell’enclave e spesso vengono bruciati nei campi. Tutte le famiglie del villaggio hanno subito violenze più o meno gravi, molti hanno pianto persone care morte ammazzate e anche chi è stato “così fortunato” da non perire ha riportato ferite fisiche i psicologiche per tutta la vita. Come ad esempio il padre del Direttore della scuola: rapito per due giorni dai terroristi dell’UCK, torturato e seviziato, e rilasciato dopo due giorni solo grazie all’intervento della Croce Rossa Internazionale. La sua colpa? Essere serbo. I bambini non conoscono nulla al di fuori del loro gruppo di case. Gli studenti se vogliono proseguire gli studi non possono andare nella scuola più vicina, ma nella scuola più sicura, a Mitrovica, a tre ore di strada.

La scuola: la scuola “Petar Petrovic  Njegoš” è stata costruita nel 1946 grazie alla donazione del terreno da parte della chiesa e ai fondi del Montenegro, all’epoca tutto Yugoslavia. Non è coibentata ovviamente ed è riuscita solo pochi anni fa a sostituire gli infissi di legno del 1946 con più moderni in pvc a doppia finestra, riducendo spifferi e migliorando la temperatura. In Kosmet infatti la temperatura d’inverno è rigida, spesso sotto zero e con molta neve. Il riscaldamento della scuola ha funzionato per 50 anni con la stessa fornace, da qualche anno sostituite da due più moderne. Il calore è prodotto dal legno e per risparmiare si interrompe alle 17 anche se la scuola finisce alle 18:30 (fanno due turni, uno la mattina e uno al pomeriggio). L’aria calda viene convogliata nelle aule grazie a delle pompe elettriche. In Kosmet però la produzione di energia non è sufficiente a coprire i bisogni della regione, quindi spesso salta e la rete fa si che la distribuzione avvenga secondo delle priorità e le enclavi sono ovviamente agli ultimi posti. Il risultato è che al villaggio la corrente spesso manca e quindi alla scuola non c’è il riscaldamento. Anche quando è in pieno funzionamento comunque la temperatura delle classi non supera i 15/16 gradi.

La scuola ha poco più di 200 studenti e più di 100 persone di personale. Perchè? Perchè non c’è lavoro e l’istituzione assume quindi una forma anche di sostegno sociale per garantire un minimo di sostentamento, copertura medica e futuro pensionistico cercando di non negare quell’aspetto fondamentale della dignità umana che è il “guadagnarsi il pane”, il lavoro.

Il contesto: il Kosovo e Metochia è una regione che vive da anni una forte instabilità politica, le tensioni etniche non si sono mai placate e nell’ultimo periodo, con il nuovo “governo” di Albin Kurti, si sono moltiplicate le aggressioni, le violenze e le discriminaizoni. Solo negli ultimi due anni sono stati registrati ben 301 attacchi e nessuno è stato condannato o i responsabili catturati. L’ultimo in ordine di tempo è il ferimento di due bambini di poco più di 10 anni: Stefan Stojanovic e suo cugino Milos a Strpac, colpiti il giorno di Natale dagli spari di una pistola di una macchina in corsa.

“ma perchè non lo fate in Italia?”

“be’ le scuole sono messe meglio delle nostre”

“tanto non serve a niente” … noi facciamo quello che possiamo, impegnando risorse e tempo personali, aiutati da tutte quelle persone che ci hanno conosciuto, che si fidano di noi e del nostro lavoro, e contribuiscono alle iniziative che progettiamo, sviluppiamo e concludiamo. Non sarà molto ma si sa: il mare è fatto di gocce e noi contribuiamo con le nostre. Sperando di trovare sempre più persone che abbiano voglia di contribuire con una goccia invece che dare aria alla bocca.

NEWSLETTER

Iscriviti alla newsletter per essere informato sulle attività di LOVE Onlus